lunedì 10 febbraio 2014

[(s)Concerto poetico n. 192]

Ho preso l’ennesima influenza “maldida”,
che ogni tanto, impunemente, in noi si annida.
Trasmessa da mio figlio (nessuno me lo toglie...),
e passata poi (forse) alla moglie,
mi ha ridotto di nuovo quasi a letto,
ma non ne ho provato gran diletto.
Passare le notti con la febbre a rivoltarmi,
per poi, al mattino, tutto rotto alzarmi,
non è propriamente il modo migliore
di trascorrere quelle lunghe, tremebonde, ore.
Ma la cosa che sempre mi incuriosisce,
è come, mentre si è ammalati, non si capisce,
o meglio, sembra quasi non ci si rammenti,
com’era prima che la febbre aumenti.
Quel periodo ci sembra così distante,
quando l’essere ammalato è così defatigante.
Poi, quasi troppo in fretta si ritorna com’era,
e la malattia sembra sparita di gran carriera.
Ma siccome io ci sono ancora in mezzo,
forse così la penserò ancora per un pezzo.
E scusate se questa mia non mi è ben riuscita;
magari, con la febbre, la mia Musa si è un po’ ammoscita.
gp

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