lunedì 30 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 59]

l’artista componeva
l’artista dipingeva
l’artista disegnava
l’artista fotografava
l’artista riprendeva
l’artista danzava
l’artista scolpiva
l’artista recitava
l’artista scriveva
l’artista poetava
l’artista cantava
l’artista suonava
l’artista, sempre creava
ma una cosa sola non gli riusciva di fare da solo:
creare una vita.
gp

domenica 29 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 58]

Il ghepardo, veloce deve correre, se vuole sopravvivere,
e poter anche la sua prole sostenere.
Ma l’uomo no, non ne ha vera necessità;
lo fa solo per sport, nelle gare di velocità.
A meno che non si corra per da qualcuno scappare,
e da questi non farsi in fretta acchiappare...
Allora, perché per strada dobbiamo sempre essere così affrettati?
Sembra che tutto dipenda da quei pochi minuti guadagnati.
Non parliamo delle autostrade dove, chi ha il giusto motore,
cerca di superare a piena velocità senza nessun pudore;
oltrepassando oltretutto senza ritegno i limiti,
pensando (e purtroppo, spesso è vero) di rimanere sempre impuniti.
Ma quando al semaforo uno (o una) ritarda a ripartire un secondo,
da dietro, uno o più clacson vengon premuti a fondo.
E allora ti chiedi cosa accidente debba fare,
questa gente che si mette subito a suonare.
Anche se la vita, è vero, è sempre più veloce,
ogni cosa ha i suoi tempi: è ad esempio problematica, una nascita precoce;
e in certi momenti intimi, mentre state “consumando” (proprio tutto devo spiegarvi?)
sicuramente prima del tempo… dal tavolo non preferirete alzarvi.
I ragazzini poi che vogliono crescere in fretta,
pensando, chissà perché, sia meglio quello che li aspetta,
si perdono cose che sono proprie della giovinezza.
E vederli adulti per forza, fa un po’ tristezza.
“La gatta frettolosa fece ciechi i gattini“,
dovrebbe essere un monito per grandi e piccini.
“Chi va piano, va sano e va lontano”
non merita spiegazione, ma forse spesso è citato invano.
Impariamo invece, nella vita, a prenderci il tempo giusto che meritiamo.
Non c’è fretta di andare da nessuna parte, né di dimostrare che farlo possiamo.
E chi ci vuole bene davvero, sempre con fiducia aspetterà,
il momento che da loro, senza rischiare che non capiti, si arriverà.
gp

sabato 28 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 57]

Gli scacchi sono un gioco un po’ bislacco
(e ve lo dice uno cui gli piacciono un sacco).
Intanto è l’unico (mi sembra) gioco da tavolo al plurale, potete verificare.
Le carte non contano, sono un mezzo, ma i giochi, loro, sono al singolare.
Nel gioco, il pedone è un pezzo timido, che fa un passetto per volta;
all’inizio però, se ha coraggio, due passi fa, e mai indietro svolta.
Ma è comunque molto importante, perché se dall’altra parte arriverà,
una promozione tosto si guadagnerà.
Il cavallo (ma ha un cavaliere o no?) fa una mossa per niente banale;
l’alfiere (o vescovo, in inglese “bishop”) va solo in diagonale.
Ma con la celata, non dovrebbe solo veder bene in avanti?
La torre mi perplime. Alta, di pietra e mattoni pesanti,
non dovrebbe star ferma immobilizzata?
Invece corre su e giù come una disperata...
La regina, tra i pezzi è il più potente:
di andare in che direzione vuole, non glielo si può impedire per niente.
I re, poverini, che in certi regni guidano gli eserciti,
qui fanno una figura meschina e si muovono come affetti da artriti.
Dietro la torre il re può anche nascondersi,
se arrocca per difendersi.
Perché se lui non può più esser protetto né scappare,
che sia scacco matto, proprio mi pare.
Nati in oriente, e nel tempo da noi importati,
un passatempo affascinante son diventati.
Solo alcuni al mondo sono campioni mondiali,
ma hanno delle menti veramente speciali.
Io mi accontento, nel mio piccolo di giocare,
un poco ogni tanto, ma senza strafare.
Anzi, sapete che vi dico?
Che a parlarne, mi è venuta voglia di giocarci. Magari con un amico.
gp

venerdì 27 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 56]

Lo struzzo, la testa nella sabbia teneva.
“Esci fuori!”, qualcuno gli diceva.
“Ti stai perdendo tutto,”
“e non ti stai godendo la vita, oltretutto...”
L’animale pareva non sentire,
ma forse era solo che non voleva capire.
Continuando a mostrare il piumaggio della coda,
rimaneva in quella posizione scomoda,
per evitare che il mondo
potesse ferirlo nel profondo.
Passavano di lì delle struzze femmine,
ma alle sue stranezze avevano ormai fatto l’abitudine.
Per cui non lo cercavano più:
che se ne stesse pure a testa in giù.
Passavano di lì i suoi parenti,
una volta disperati e piangenti;
ma ora, sconsolati,
al suo comportamento rassegnati.
Trascorrevano gli anni, e il mondo cambiava,
ma sempre lui nella sabbia con la testa stava.
Un bel giorno un grillotalpa gli pizzicò il muso,
e lui fu costretto a fare qualcosa cui non era aduso.
Tirò di colpo fuori la capoccia,
mentre intanto proferì una parolaccia.
Ma quel che vide, con gli occhi ancora pieni di sabbia,
gli fece passare subito la rabbia.
Il sole era basso all’orizzonte, al tramonto,
e lui rimase a becco aperto, come un tonto.
Gli altri struzzi che giocavano e si rincorrevano,
di colpo si fermarono, perché non lo riconoscevano.
A lui piano piano si avvicinarono,
e per la prima volta da anni gli parlarono.
Lui scopri così che poteva avere tanti amici,
per proteggersi dal mondo e dai suoi nemici.
La testa sempre fuori da quel momento tenne,
e aperto ormai alla vita, beato si lisciava le sue penne.
gp

giovedì 26 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 55]

26 settembre 2011, a qualcuno non dirà molto;
per me, invece, è stata una giornata che mi ha sconvolto.
Giusto in questa data, due anni fa,
Sergio Bonelli (in arte Guido Nolitta) ci lasciava per l’aldilà...
Come spiegare, a chi non l’ha conosciuto,
che uomo fosse? Magari col grande aiuto
delle storie sue, che un po’ di lui raccontavano.
E forse, qualcuna l’avete pure letta, distesi sul divano.
Iniziò infatti nel 1957 a tradurre
per l’editrice di famiglia, che vedeva Tea Bonelli a condurre.
Scorrendo velocemente poi troviamo
fumetti che piacevolmente ricordiamo:
“Un ragazzo nel Far-West”, del 1958,
ma anche “Il Piccolo Ranger”, di cui in quegli anni le sue vicende ha scritto;
"Il Giudice Bean", con solo sei avventure,
ma che han lasciato un lieto ricordo delle sue brillanti figure;
“Zagor” è decisamente da ricordare,
anche perché, dopo tanti anni, lo troviamo ancora i lettori ad allietare.
Poi nacque “Mister No”, purtroppo finito da pochi anni,
che affermo qui esser stato il mio favorito, senza inganni.
Il “Tex” del padre Gianluigi talvolta ha pure seguito;
anche se con spirito diverso, alcune storie ha costruito.
La miniserie "River Bill" e altre solitarie vicende,
ha anche lui sceneggiato (alcune poi, stupende).
Ma oltre che, naturalmente, grande Autore,
è stato per decenni un Signore Editore.
Un uomo di altri tempi, che ha dato lustro, spinta e motore
a un’editoria di genere, spesso poco conosciuta, ma di gran valore.
Ricordiamo infatti che più di una generazione, con i suoi fumetti, ha cresciuta!
Lo si vedeva (sempre meno, purtroppo) alle fiere;
sempre cordiale e modesto, con, di appassionati, intorno schiere.
Qualche parola sempre scambiava con ognuno di noi,
che gli portavamo a firmare un vecchio o nuovo albo dei suoi eroi.
E al funerale mi han detto esserci stato “il mondo”,
perché l’amore per lui era veramente profondo.
Ora però qui devo chiudere, perché il ricordo per me è tosto;
ma se mi permettete, qui un paio di link, insieme alla poesia, posto:
gp

mercoledì 25 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 54]

Il salmone risaliva la corrente
di un agitato torrente.
Salti e cascatelle incontrava,
che con fatica lui scalava.
Perché fare questo sforzo tremendo?
È una cosa che gli capita crescendo:
quando è il momento di riprodursi,
torna dal mare - dopo gli anni ivi trascorsi -,
per tornare al torrente natio,
e finalmente, dopo un marino connubio,
le uova deporre sotto la ghiaia
(sbaglio, se dico che lo fanno a migliaia?).
I torrenti, freschi e ossigenati,
sono l’ambiente ideale per i nuovi nati.
Resta il mistero del perché far tutta questa fatica,
che a starsene nel torrente poteva (qualcuno glielo dica!),
invece di fare ogni volta questa “migrazione genetica”.
Evidentemente però qualcosa ci sfugge,
e le sue ragioni sicuramente saranno le più sagge.
Forse proprio questo dai salmoni dovremmo imparare:
non scegliere mai le cose semplici, datti da fare;
e dalle tue fatiche potrà nascere,
qualcosa per cui merita di vivere.
gp

martedì 24 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 53]

Na tazzulella ‘e caffè,
la mattina piaceva pure a me.
Aaah! Iniziare la giornata,
con una buona dose (non) zuccherata!
Anche solo sentirne l’odore,
smuove la circolazione e fa bene al cuore.
E sorbire la caffeina,
pure la mente sembra che un poco affina.
Anche se dicono sia solo una questione psicologica,
senza veri effetti provati dalla chimica.
E voi, avete mai provato qualche giorno,
a... levarvelo di torno?
Veramente siete poi stati,
per la mancanza affaticati?
C’è chi, per la salute, a lasciarlo è obbligato,
perché fa male al proprio apparato.
E chi, solo per scelta, prova a farne a meno
senza per forza aver male al duodeno.
A inizio agosto, quando, se ricordate,
avevo una bronchite fetente
con una gran tosse insistente,
decisi di non bere più la bevanda suddetta
per vedere se un po’ si placava la tosse maledetta.
Mi risolsi quindi di bere solo orzo;
ma senza alcuno sforzo.
Visto che comunque, quotidianamente.
una tazza già prendevo, la mattina velocemente.
E ora, che quasi due mesi sono trascorsi,
continuo a berlo senza rimorsi.
Come cappuccio o in tazza piccola,
il suo profumo un poco mi coccola.
Perché mi rammenta quando ero piccino,
che lo bevevo con mamma vicino.
Senza zucchero pure lo assumo;
basta un po’ di latte per facilitarne il consumo.
E forse gli altri ci han pure guadagnato,
visto che l’umore sembra pure migliorato.
Provateci anche voi, e poi mi direte,
se di continuare a berlo insisterete.
gp

lunedì 23 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 52]

“Chi ha rubato la marmellata?”,
diceva un tempo una canzone per bimbi molto amata.
Per chi, come me, allora c’era (eh, sì… non son più un giovine fringuello…),
era divertente, cantarne il ritornello.
Faceva da sigla all’anteprima del programma domenicale
abbinato alla Lotteria Italia (ma non chiedetemi anche il canale!).
Da Lino Toffolo la ricordo cantare,
con la sua voce particolare;
mentre dal “grande” Bruno Lauzi era scritta,
e di Pippo Baudo e Pino Caruso era l’allegra arietta.
Per dirla proprio tutta, la sigla era animata
dallo Studio Bozzetto (e qualche loro film o serie avrete sicuramente amata).
Però, rileggendone il testo oggigiorno - ma non vorrei essere banalizzante -,
secondo me, aveva un testo piuttosto terrorizzante.
C’era dunque questo cane poliziotto,
che di nome faceva Johnny Bassotto
(la razza ve la faccio indovinare),
che andava in giro per i bambini discoli beccare.
Era praticamente un Grande Fratello, ma solo per l’infante,
aiutato da un pappagallo e da un elefante.
L’uno faceva da radiospia,
e l’altro interveniva se troppo grossa era la bugia.
Quindi attenti, bambini, a dirne qualcuna,
che il cane Johnny non aveva pietà alcuna!
Entrava nel letto di chi le aveva raccontate,
per coprire le marachelle procurate...
… e con le manette arrestava la fantasia!
Accidenti, che crudeltà, mammamia!
Poi ti svegliava e faceva confessare, cercando di scoprire,
quale malefatta avevi cercato di coprire.
Personalmente, la trovo un poco esagerata,
questa soluzione adottata.
Ma credo fossero altri tempi,
in cui si punivano davvero tutti, e si davan buoni esempi.
Forse dovrebbe esserci ancora una canzone monito,
per quelli che ogni giorno di noi si burlano a menadito.
A questi perciò potremmo ripetergli, come allora, con severità,
attenti, perché: “Il bassotto poliziotto, scoprirà la verità!”
gp

domenica 22 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 51]

Siamo qui, per il battesimo di Thomas celebrare
(ma forse qualcuno é venuto solo per dopo mangiare).
Amici dei genitori e parenti intorno si sono raccolti,
e tutti a guardar lui sono rivolti.
Certamente, in questo tempo è cresciuto:
faccino tondo e sguardo sperduto.
Perché quando apre i suoi “fanali”,
abbaglia pure i suoi fratelli animali.
Le dita si sono un poco allungate;
la ciccia intorno alla carne subito notate.
Ogni giorno lui è vestito, poverino,
secondo la mamma come si sveglia il mattino.
Ma ogni foto che lei ci manda,
in visibilio porta chi sempre gliela domanda.
E tutte le abbiamo in una cartella ben raccolte,
dopo averle salvate tutte le volte.
Di pannolini ne consuma tanti,
come del resto tutti gli infanti.
Un tipo per la cacca, uno per la pipì;
non avete inteso male, è proprio così!
Braccia e gambe muove come un mulino.
Che abbia la stessa frenesia di suo cugino?
E’ nel periodo adesso che si mette a masticare
ogni cosa che intorno riesce a trovare.
Piccoli urletti inizia a fare,
e grandi sorrisi a tutti regalare.
Oggi qui gli faranno la festa,
nel senso che un poco gli si bagnerà la testa.
Poi i genitori e tutti noi insieme,
si tornerà a casa, perché il tempo preme.
E lì faremo un piccolo (o meno) rinfresco,
con la roba che troveremo sopra il desco.
E da ora in poi, e con tutto il cuore,
io e mia moglie di esserne i padrini avremo l’onore.
Promettiamo quindi che sempre gli saremo vicino,
con anche il cuginetto (e il suo… pancino).
gp