mercoledì 28 agosto 2013

[(s)Concerto poetico n. 26]

Una volta feci veloce un cane disegnato.
Ma dopo un po' sentii forte un latrato
che proveniva da sopra il foglio
(giuro che non é un abbaglio).
Mi guardava, il cane fatto solo a matita,
con un'espressione un po' contrita.
Sembrava dire, con quel suo lamento:
"Tu mi hai creato, ma io non son contento...
Almeno a colori, farmi potevi;
poco di più, tu ci mettevi.
Un poco di marrone per il pelo,
come i capelli di tuo cugino Carmelo.
Gli occhi azzurri e la mia lingua rosa.
Non pensi sarebbe stata una bella cosa?"
Io lo guardavo piuttosto indeciso,
se appallottolarlo con un colpo deciso.
Poi preferii farlo contento,
piuttosto che avere un immediato pentimento.
Presi allora dal cassetto i pennelli,
e lo colorai tutto con gli acquerelli.
Alla fine, contento del risultato,
mi chiesi se per caso non avessi sognato.
Nel dubbio, da allora, presi l'impegno
di non lasciar più a metà nessun mio disegno.
Questa metafora va presa, nella vita, come regola generale.
Perché quel che si inizia va sempre finito, sia nel bene che nel male.
E una cosa lasciata in sospeso,
anche se nel tempo ignorata, ha sempre un suo peso.
Che può essere grave oppure leggero,
ma le cose completare dà più soddisfazione, non è un mistero.
Meglio chiuder nella vita i nostri conti,
che poi aver solo dei rimpianti.
Ché quando meno ve lo aspettate, foste anche a Toronto,
li sentirete latrare... pardon... chiedere il conto!
gp

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