martedì 19 novembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 109]

C’era una valigia, piena di cose curiose,
con alcune impossibili, e altre golose:
un orsacchiotto rosa a pallini,
con bionda chioma e pure i codini;
una tartaruga che andava a motore,
e aveva carburante per ore e ore;
un intero, grande cammello,
che, bisogna dirlo, era anche piuttosto bello.
E poi, alcuni libri su posti fantastici,
con molte fotografie impossibili nelle appendici.
Un cesto pieno pieno di dolcetti colorati,
che era meglio non assaggiare, perché fatati.
Un cincillà dal pelo lungo e ricercato,
tanto che in quella valigia lui si era rifugiato.
Un coso fatto a… beh, una forma certo aveva,
solo che, lì per lì, dire a cosa somigliasse non si poteva.
Ma la più strana di tutte quante,
che balzava all’occhio al primo istante,
era un grosso libro di poesie
(chi l’ha detto che erano le mie?),
che non era mai stato editato,
eppure era lì, bello che stampato.
Lo si poteva aprire a una pagina a caso,
e quel che si leggeva sempre strappava un applauso;
perché era insolito, originale e divertente,
e accontentava i gusti di tutta la gente.
Lo si poteva poi usare anche in altri modi:
come spessore sulla sedia per stare più comodi,
oppure per coprire un buco nel muro.
Appeso a un chiodo, faceva il suo lavoro di sicuro.
Molti altri usi nel tempo si erano ideati,
una volta che di leggerlo ci si era stufati.
Poi, quando anche per altro aveva perso utilità,
lo si riponeva nella valigia, insieme al cammello e al cincillà.
gp

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