mercoledì 20 novembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 110]

Qualche giorno fa, accennavo a una disgrazia a noi distante,
ma non per questo meno importante.
La “colpa”, diciamo, era in quell’occasione del maltempo,
come anche per quanto successo nel frattempo.
Son sicuro che è conosciuto e risaputo ormai a tutti quanti,
quel che è accaduto a, di una zona della Sardegna, gli abitanti.
Non voglio, quindi, in questa occasione, perciò,
ricordare le disgrazie occorse, e invece vi dirò
che “forse” qualche danno, o anche di più,
poteva esser evitato, se il territorio fosse stato gestito meglio, e non solo laggiù.
Ad esempio, imbrigliamo corsi d’acqua e chiudiamo vie di sfogo naturali,
che poi mancano, e si riempiono di cronache luttuose gli annali.
Si spende poi molto di più a ripagare le disgrazie,
che manutenere il nostro ambiente, e a chi ci rimette, tante grazie...
Senza contare poi le vittime innocenti dei disastri,
che nessuno li può più rifondere, tantomeno tutte le autorità coi loro nastri.
Manca poi del tutto un po’ di cultura, diciamo di istruzioni,
di quanto vada fatto in certe occasioni.
Diversi, l’altro giorno, hanno pensato, di rifugiarsi nei sottopassi,
o di ritirarsi nei seminterrati, o comunque nei piani bassi.
Invece, un minimo di più, di quanto stava per accadere, prevenzione,
avrebbe forse salvato qualche situazione.
Praticamente poi solo a noi italiani (e pochi altri),
non viene insegnato ad esser più scaltri.
È un discorso generale, che riguarda la sicurezza,
ma anche, nel primo soccorso di un infortunato, la prontezza.
Cosa fare in caso di terremoto,
o come soccorrere uno caduto dalla moto.
Come sempre, invece, preferiamo guardare altrove,
e fare solo poi la gente che si commuove.
Ma fra qualche giorno, quando tutto sarà ormai dimenticato,
pure lo spirito di ribellione a questa situazione, sarà ormai passato.
Lamentiamoci pure dell’Italia e dei suoi governanti,
ma quando sarà ora, e dico a tutti quanti,
ricordiamoci che quelli che sopra di noi stanno,
solo perché noi siamo stati troppo pigri nel cambiare, spesso lo fanno.
E non trovate la scusa che “tanto” (ricordate il mio poema?) son tutti uguali,
perché, così dicendo, anche noi ci equipariamo a quei tali.
Ora (e per ora) concludo questo mia, forse dettata solo dall’emozione,
sperando che pure io, a breve, non perda l’indignazione.
gp

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