domenica 13 ottobre 2013

[(s)Concerto poetico n. 72]

Un dinosauro, sempre molto scontento di tutto,
tanto che sembrava essere sempre a lutto,
vagava su e giù per la terra brulla
pensando che la sua vita non valeva nulla.
Non aveva amici, e neppure parenti,
perché negli ultimi tempi erano morti di stenti.
Ormai da molto tempo, il cibo scarseggiava;
era già successo, in passato, ma ora si esagerava.
E lui, che di umore non era dei più ottimisti,
iniziava a credere alle voci degli allarmisti
su una possibile catastrofe, una di quelle inevitabili,
dove sopravvivere era tra le opzioni improbabili.
Poi, un giorno trovò un dinosauro anziano
che sempre a leggere nella natura era il futuro lontano.
Questi gli disse, guardandolo col suo occhio solo,
che il il cielo gli sarebbe stato d’ora in poi benevolo:
se lui lo avesse osservato nelle prossime notti, a oltranza,
vi avrebbe scorto un segnale di speranza.
Sarebbe da lassù giunta una stella luminosa,
per cambiare la situazione e renderla sicuramente più gioiosa
(o almeno così l’aveva interpretata in vecchio,
anche se ormai fuori di testa lo era parecchio).
Il dinosauro, per una volta nella vita,
volle credere a quelle parole più che all’altra previsione uscita.
E così, per notti intere, stette ad aspettare;
col muso rivolto in alto tra le stelle a guardare.
Finché una sera, più stellata del solito,
da un’improvvisa sensazione fu assalito.
Quello che stava brillando, venendo giù dal cielo
invece di rasserenarlo gli mise addosso il gelo.
Lo seguì scendere e poi, in basso, formare una gran luce,
che illuminò tutto a giorno in modo quasi truce.
Certo, quella “stella” il futuro gli avrebbe cambiato,
e con lo stesso destino tutti i grandi sauri avrebbe abbracciato.
Perché quello che scese era un grosso meteorite,
e le loro speranze si erano di colpo esaurite,
in quel cielo della fine dell’era Mesozoica,
e che la scienza ormai concorde identifica,
come la terra che all’epoca ancora non si chiamava Messico,
ma che dell’inizio dell’estinzione dei dinosauri fu palcoscenico.
gp

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