martedì 29 ottobre 2013

[(s)Concerto poetico n. 88]

Il muro da tempo si ergeva;
da due lontanissimi palazzi emergeva.
Era alto, altissimo:
dove finisse non si capiva benissimo.
I bambini ci giocavano contro col pallone.
I ragazzi, di farci qualche graffito, non perdevano occasione.
Gli adulti non ci facevano più caso,
neppure quando ci camminavano raso.
Il perché si fosse costruito si perdeva negli anni,
e del resto, di capire nessuno si prendeva affanni.
Qualcuno, ogni tanto, vi appoggiava l’orecchio,
e gli pareva di sentir qualcosa… anzi, parecchio.
Poi da altro veniva distratto,
e si dimenticava di quel breve contatto.
Un giorno, un grosso camion ci andò a sbattere,
e ci fece una crepa, senza volere.
Da quella ferita trapelava una luce,
e la gente iniziò a chiedersi: “chissà cosa la produce?”.
Si iniziò così ad allargarla,
per riuscire poi ad attraversarla.
Quando fu abbastanza ampia per il passaggio,
la superò uno con molto coraggio
che si trovò davanti una città alla sua uguale,
con gente che osservava chi fosse quel tale.
Ma erano persone non dalle altre diverse,
e così, deluso, dalla sua parte riemerse.
Raccontò a tutti che non c’era niente da scoprire,
e così quella falla si decise di ricoprire.
I bambini continuarono così ignari a giocare,
e i ragazzi, con la loro arte, il muro imbrattare.
Quel moto di curiosità era definitivamente scemato,
dopo che il temerario era tornato.
Era già successo e ancora poi successe
che un buco, per caso o no, vi si facesse.
Ma ogni volta che accadeva,
chi dall’altra parte guardava, una delusione aveva.
Il muro c’era forse sempre stato,
per quello che si fosse ricordato.
E siccome dall’altra parte non c’era ragion d’avventura,
rimaner nella propria, era cosa buona e sicura.
gp

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