martedì 17 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 46]

C’era una volta un elefante,
che aveva un problema molto importante.
Il suo cruccio era che non aveva memoria,
e quindi non ricordava la sua storia.
Ora, certo saprete, che per quei pachidermi,
che abbiano una memoria proverbiale è uno dei punti fermi.
E quindi, se questo elefante non più ricordava,
dovete capire che fastidio gli dava.
Non rammentava, ad esempio, quand’era cucciolo,
nato dopo 21 mesi (degli uomini è ovviamente questo calcolo).
E dopo i primi, normali, tentennamenti,
erano arrivati in fretta i cambiamenti.
Dopo essersi nutrito con, della mamma, il latte,
aveva iniziato a mangiare degli alberi le foglie a lui adatte.
Aveva, più grande, anche avuto una compagna,
dimenticandosene poi un giorno (e ancora lei di questo si lagna).
Depresso, ormai altro non gli restava,
che di riposare appoggiato a un albero; che un poco lo rincuorava.
Poi, un bel giorno, la vecchia madre gli portò
un taccuino con una matita che in giro trovò.
Forse a un turista gli era caduto,
nella savana, e così l’aveva perduto.
L’elefante smemorato,
dopo averlo, dubbioso, annusato,
capì come poteva usarlo,
e subito iniziò ad adoperarlo.
Ma siccome scriver non sapeva,
dei disegni usando la proboscide faceva.
Da quel giorno l’elefante più dimenticava
quel che aveva fatto (al massimo, sul taccuino controllava).
gp

Nessun commento:

Posta un commento