martedì 10 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 39]

C’è un bambino, dentro gli adulti
- quelli cioè non più tanto virgulti -,
che talvolta è dormiente,
mentre altre è bello presente.
È quello che ci fa apprezzare
anche il gioco, e non solo il lavorare;
che inventa soluzioni mai immaginate e che ama esibirsi,
senza del tempo che passa pentirsi;
e che con lo spirito ci collega,
mentre la meraviglia del mondo ci spiega.
È quello che ci regala ancora della vita lo stupore,
questo cosiddetto bambino interiore.
Crescendo poi i più (è capitato anche a me, non lo nascondo),
lo respingono dietro una corazza e lo sguardo profondo.
Perché, quando adulti si diventa, la serietà
è un obbligo, così come la responsabilità.
Poi, magari, nei sogni lo ritroviamo,
ma svegliandoci più ce lo ricordiamo.
Le vecchie favole e i miti, con le loro brutte sventure,
ci ricordano che alla fine tutte le nostre paure
si possono abbattere con speranza e amore;
perché questo dice il “bambino” nel nostro cuore.
Jung, per primo, l’ha denominato “fanciullo eterno”.
E attenti però, lui diceva, a non trasformarlo, problema non solo odierno,
in infantilismo, che rende pigri, capricciosi e incapaci di decidere.
Mentre bisogna comunque diventare adulti, sapendo ancora godere
delle piccole cose, e mantenendo lo sguardo incantato
su questo mondo e sull’intero creato.
E chi dentro di sé lo saprà far crescere,
anche verso gli altri più ben disposto potrà essere.
Questo è l’augurio che a tutti faccio:
di camminare per il mondo con l’entusiasmo sottobraccio.
gp

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