giovedì 19 settembre 2013

[(s)Concerto poetico n. 48]

C’era una capra che di tutto mangiava,
e di quello che le davano mai si accontentava.
Oltre al pastone che le dava il fattore,
pure faceva a bocconi il contenitore.
Mangiava l’erba e pure le pietre,
e poco mancava si mangiasse pure le anitre.
Non la si poteva tenere chiusa,
o per mangiare pure la stalla aveva la scusa.
Non la si poteva in casa lasciare,
pena più nulla dentro trovare.
Provarono a sistemarla su una piattaforma in alto,
ma poco a poco ingoiò pure quella, fino all’asfalto.
Le si poteva, allora, tirare il collo,
come si farebbe con un grosso pollo;
ma appena qualcuno la avvicinava,
correva via che una lepre sembrava.
E di spararle manco a pensarlo:
sembrava che di leggere le intenzioni sapesse farlo.
Mangiò, la capra, giorno dopo giorno,
tutto quello che le capitava intorno.
Eppure, non si capiva dove mettesse
tutto quello che in bocca introducesse.
Qualcuno pensava, e sembrava giusto davvero,
che in gola avesse quasi un buco nero.
Passava il tempo, e la capra di mangiar non smetteva,
eppure nessun chilo acquistare pareva.
Finché un giorno, chissà quando,
smise di divorare in quel modo nefando.
Su un prato in collina poi si sedette,
e della digestione finalmente godette.
Ci mise una vita, o qualcuna in più ancora,
per digerir tutto quanto ingoiato fino ad allora.
Poi “concimò” tutti i campi vicini
così fece contenti tutti i contadini.
Peccato però che insieme al letame,
ci fosse pure dello scatolame.
La capra infine, compiuto il “lavoro”,
morì dopo aver fatto un bel rutt... ehm... belato sonoro
gp

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